Grazie Blue Fish

Fabri About Australia, About Life, About work, sbatti

“Vieni domani pomeriggio alle quattro, che ci organizziamo”. Queste sono state le prime parole che lo chef, dopo la serata di prova, mi ha rivolto. Inizialmente ero molto timido, piano piano ho preso fiducia lavorando dai cinque a sei giorni a settimana negli ultimi sei mesi. Mercoledì scorso è stato il mio ultimo giorno.
Lavorare mi ha fatto bene, mi ha dato una bella “regolata”. Sapendo che il
giorno dopo avrei lavorato, evitavo di uscire la sera, o quantomeno di non tirare mattino, per poi essere completamente rincoglionito il giorno seguente. Consiglio valido, ma a volte difficile da seguire soprattutto i venerdì e sabato sera quando passi vicino ai locali e vedi…


Il lavoro mi ha dato la possibilità di entrate fisse ogni settimana; oltre a farmi sopravvivere nell’undicesima città più costosa al mondo, mi ha permesso di vivere al 100%, perché non mi sono mai fatto mancare niente. Sono riuscito a mettermi vi qualche soldo, dandomi l’opportunità di farmi un mese di vacanza, ma soprattutto di pensare al mio futuro. Al mio lavoro ci ho sempre tenuto un sacco, ed anche per questo motivo che a volte tornavo a casa sconsolato o affranto, perché mi sentivo poco preso in
considerazione e, o fortemente criticato. Ma anche questo ci sta, se no non si chiamerebbe lavoro. Spesso non vedevo l’ora di andare in cucina perché mi piaceva, lo trovavo interessante ed ero sicuro di quello che stavo facendo.

Ammetto che non è stato sempre semplice e molte volte avrei preferito passare la giornata in spiaggia o sul letto a fare in nulla. A volte è stato un lavoro di routine, mentre altre volte dovevi improvvisare, sperando che fosse la via azzeccata.
Pur difficile che sia, è sempre stato reso istruttivo e gratificante grazie alle persone che ci lavoravano: i miei colleghi. Due shift, quella del mattino e quella della sera. In sei mesi di Blue Fish ho avuto la fortuna di lavorare con tutti. Ragazzi a cui non interessa primeggiare, o farsi vedere perché più bravi o più belli. Tutti con un solo obbiettivo: farevil meglio per il Blue Fish. È per questo che molte volte rimproverare non era necessario,
ma è stato più utile farmi vedere e, o farmi provare.

La squadra in cucina spesso, è statavammirata dai ragazzi che lavorano in sala. Alcuni mi dicevano che ero fortunato advessere in cucina perché non avevo il contatto con il cliente, e gli errori non li vedevavnessuno. In cucina, se sei kitchen hand, sono tutti i clienti e “peggio” ancora capi; hanno
bisogno di te e tutti possono contestarti e comunque il giorno dopo sono ancora li advaspettarti.

Ho imparato a stare in una cucina: mi rendo conto di avere imparato più cose di quandovfacevo il cameriere. Tagliare diversi tipi di pesce, fare i dessert, organizzare il magazzino evchiaramente a lavare. Lavorare al Blue Fish mi ha fatto imparare, cosa vuol dire lavorarevin squadra e cosa vuol dire sbattersi. Ragazzi posso assicurarvi che nei peggiori giornivbusy, ho visto lavare i piatti a chef, manager e più di una volta al boss. Non ci potevo
credere, e ho apprezzato tantissimo.
Spessissimo ero l’unico europeo in cucina, e comprendere l’inglese è stato tanto difficile.
Mi ricorderò per sempre quella sensazione da spaesato che ho provato la prima voltavseduto al tavolo bevendo una birra con i colleghi. Quella continua domanda che mivfacevo: “stanno parlando inglese o arabo?”. Durante l’ultimo mese mi sono reso contovche finalmente riuscivo ad avere una conversazione “normale”: finalmente!!
Da questa esperienza ho imparato tantissimo e la porterò per sempre con me. Grazie avGlann, John, Hanif, Bijay, Yada, Praman, Seal, Sun, Robin, Charly, Kevin, Roxy e Imran.
Tutti i camerieri specialmente Alice, Diego,Adam, Suda, Floor,Bora,Santiago, Larissa,Joel.
Sydney rimarrà la mia casa in questa avventura australiana, e il Blue Fish rimarrà la mia tana !
Grazie